La vita di una professoressa si misura in base al grado di benessere dei suoi allievi. Questo è un inclemente dato di fatto.
Bisogna chiudere gli occhi e focalizzare l’immagine, una classe ricolma di ciglia, rossetti sgargianti, unghie…. Unghie…. Unghie.
Unghie di inestimabile valore artistico. Dunque non so se riesco a spiegarmi, ma, avete presente quelle sorti di quadri di Tamara De Lempicka che le ragazze di oggi creano in quel centimetro di estremità della dita delle mani? Nail art si chiama.
Sicuramene Art.
Ecco, dietro tutta questa scultura, ci sono dei cervelli, delle menti, degli animi, dei cuori.
Quei cuori che quando sono colmi di entusiasmo, di vita, di subbuglio ormonale al positivo, ti concedono le più audaci lezioni formative e che, quando sono stanchi, inermi, disorientati ti lasciano la percezione di aver fatto lezione a degli ottimi manichini di prima scelta. Belli eh, giusto un attimo statici se proprio vogliamo dirla tutta.
Dopo il primo lockdown, quello che ci ha chiesto di rimanere barricati nelle nostre case per due e più lunghissimi mesi primaverili, tanto primaverili da essere quasi surreali, il rientro a scuola settembrino, per un docente è stato come il caffè del mattino: di natura esistenziale.
Per i ragazzi pure.
Le prime settimane di formazione a distanza sono state esilaranti, forse perché tragicamente inaspettate, forse perché tragicamente e basta.
Ci siamo aspettati, rincorsi, abbiamo litigato come coppie sposate da 30 anni, senza dirlo a nessuno abbiamo pianto insieme, fissando un quadratino con un’ immagine immobile nel bel mezzo della peggiore smorfia carnevalesca, perché non è stato sempre facile o simpatico o ridicolo, è stato anche molto difficile, perché la scuola ha dovuto cambiare i suoi connotati e insieme l’abbiamo fatta funzionare.
Tra i professori e i ragazzi si era creato quella tipologia di rapporto che si crea tra esseri umani nel bel mezzo di un pericolo imminente, quando crollava uno c’era l’altro a sostenerlo, e viceversa. Un viceversa fondamentale.
Siamo arrivati alla fine e forse merito degli strumenti che la nostra scuola aveva messo a disposizione, il nostro epilogo è stato un gran bell’epilogo, da applausi.
Ma a settembre, il primo giorno di scuola, eravamo tutti emozionati come quando il tecnico in regia pronuncia le fatidiche parole “mezza sala- sala-scena“. Le luci in platea si spengono, non si può più tornare indietro. Il pubblico aspetta. E spettacolo sia. Di nuovo applausi.
Innamorati delle voci nei corridoi, innamorati dei loro profumi invadenti e delle domande fuori luogo.
Vederli lì, seduti nei loro banchi, anche se con mascherine e distanze, è stato come tornare a respirare.
E il ricordo è netto, insaziabile nella mente: avevamo bisogno di tornare. Di rimetterci sotto carica, come smartphone utilizzati troppo, per la prima volta tra noi professori forse abbiamo avuto il coraggio di dircelo: questi ragazzi sono giovani eroi.
Perché a 16 anni, anno più anno meno, accettare di non poter avere più a che fare con l’unica certezza che si ha, ovvero gli occhi degli amici, è inesorabile.
In un soffio di vento la loro quotidianità già straordinariamente precaria è stata duramente colpita. E quando noi professori ce ne siamo effettivamente accorti?
Quando abbiamo visto con questi occhi entusiasti, la loro difficoltà nel non potersi abbracciare, nel non potersi scambiare la quantità di materiale che erano soliti scambiarsi, nel doversi negare un bacio.
A settembre. Ma in tutto questo non poter, no dovere, non provare, chi sono quelli ci hanno insegnato che non importa ed è sufficiente essere lì per essere felici? Loro. I ragazzi. Ci hanno insegnato la resilienza. Ecco perché non è accettabile continuare a leggere frasi come “Questi ragazzi hanno perso mesi di scuola!!”, questi ragazzi, non hanno perso mesi di scuola, hanno costruito anzi una nuova scuola e l’hanno fatto con una dignità incredibile. Spesso chiusi nel dolore, nelle mancanze, nella loro indomabile caparbietà. Ci hanno chiesto di non mollare.
Loro lo hanno chiesto a noi adulti.
E quindi chi sono i nostri eroi?
I miei sono alti meno di un metro e settanta e al posto delle unghie hanno quadri di Tamara De Lempicka.